Sei tipici errori nella comunicazione delle startup. (…ma non solo delle startup)

Ripropongo, dopo più di un anno, questo articolo, che mi pare ancora davvero attuale.  

Lavorare con una tech startup è un’impresa affascinante e al tempo stesso particolarmente sfidante. Collaborare per la comunicazione con una azienda molto giovane significa coglierla in una fase in cui una campagna di PR efficace può davvero fare la differenza.

Le startup si trovano in un momento unico e difficile della loro esistenza: la posta in gioco è più alta rispetto ad una azienda consolidata e per loro natura gli imprenditori che le governano spesso non hanno idea di come si lavora con una agenzia di PR e non sanno come e dove investire per promuovere il brand o lanciare un prodotto. Prendere le decisioni sbagliate costa caro, sia in termini economici, sia in termini di perdita di un momento prezioso e irripetibile nella vita dell’azienda. Vediamo alcuni tra gli errori più comuni nella comunicazione delle startup.  una tech startup è un’impresa affascinante e al tempo stesso particolarmente sfidante. Collaborare per la comunicazione con una azienda molto giovane significa coglierla in una fase in cui una campagna di PR efficace può davvero fare la differenza.

Aspettative irrealistiche.

Ci sono principalmente due modi di cadere vittima di aspettative irrealistiche. Il primo è pensare che le PR possano fare miracoli: creare storie scintillanti che cattureranno istantaneamente i media più influenti, anche in assenza di presupposti concreti. Le cose ovviamente non funzionano così e ottenere una copertura di qualità richiede tempo. Inoltre spesso il fondatore di una startup crede che la sola notizia della nascita dell’azienda e della sua idea centrale siano sufficienti a creare un interesse duraturo e fungere da motore del business; in realtà la visibilità e la credibilità del brand si costruiscono nel tempo con un flusso continuo di contenuti ben costruiti.

Non c’è differenziazione.

C’è un esercizio che tutte le startup (e non solo loro) dovrebbero fare: togliete il vostro brand e il profilo aziendale al vostro ultimo comunicato e rileggetelo. Siete ancora riconoscibili e in qualche modo identificabili? Se la risposta è no, occorre una maggiore differenziazione della vostra comunicazione. Specialmente nel mondo tech le aziende tendono a comunicare tutte nello stesso modo, utilizzando lo stesso frasario e gli stessi termini (leggete per esempio questo articolo) e questo non aiuta certo ad emergere.

Non state raccontando una storia appassionante.

Se volete catturare l’attenzione di un giornalista dovete mettervi nei suoi panni: lui vuole una sola cosa, ovvero una buona storia da raccontare ai suoi lettori. Un giornalista non vuole ricevere un depliant di vendita o una collezione di roboanti autoincensamenti: ha bisogno di qualcosa che i suoi lettori possano valutare come un contenuto di valore che arricchirà le loro conoscenze e creerà opportunità di business. Non è certo un’operazione né facile né veloce, ed è per questo che è necessario dedicare il tempo necessario all’inizio dell’attività di comunicazione per definire i messaggi, le storie e la strategia.

 State spammando.

Inviare le vostre storie o i comunicati stampa a una lista troppo vasta ed eterogenea di giornalisti sperando di raccogliere qua e là qualche successo è apparentemente comodo ed economico ma totalmente inutile. Se si vuole comunicare efficacemente occorre un lavoro di selezione ed eventualmente di personalizzazione dei contenuti, il solo modo di procedere che consente di costruire relazioni utili e durevoli con le redazioni.

Troppa fretta.

L’aspetto “tempo” è naturalmente molto rilevante. Da una parte molte startup, come del resto anche aziende già avviate che intraprendono per la prima volta una attività di comunicazione strutturata, sono così impazienti che tagliano subito il budget di PR se non vedono risultati di business significativi già nei primi tre mesi: si tratta ovviamente di un errore. Ci possono essere senz’altro motivi validi per interrompere il rapporto con un agenzia, ma l’impazienza può costare cara nel lungo periodo e questo soprattutto per una startup che si deve posizionare nel mercato. C’è anche un altro aspetto: l’azienda deve dedicare un po’ di tempo alla comunicazione e il team interno deve sviluppare temi e strategie assieme all’agenzia che li può guidare e correggere in modo da ottenere i risultati migliori. Anche il fondatore deve ascoltare le osservazioni e i consigli di un’agenzia esperta, perché spesso la sua figura ricopre un ruolo molto significativo nella comunicazione della startup.

Non c’è un punto di vista forte e distintivo.

Questo aspetto riguarda in particolare la figura del fondatore della startup. Al di là del messaging e del posizionamento, la capacità di comunicare un punto di vista forte e personale sui temi rilevanti per il mercato in cui l’azienda opera può davvero essere un elemento cruciale. In riferimento all’obbiettivo di generare coverage sui media e di cogliere e sfruttare anche le opportunità di partecipazione a seminari, tavole rotonde ed eventi di settore, la capacità del fondatore (o del manager di riferimento) di esprimere un insieme personale e rilevante di opinioni, previsioni e osservazioni, può generare un interesse forte e duraturo attorno al brand, da parte della stampa, dei clienti potenziali e degli investitori.

(Liberamente tratto e adattato da “6 Common PR mistakes made by startups” di Dorothy Crenshaw)

 

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