PR 0.5 (Back to Basics Blues)

E mentre noi, qui, ci si diletta a parlare delle magnifiche e progressive sorti delle PR 2.0, 3.0 , di social media, di conversazioni e via dicendo, ci tocca leggere notizie desolanti e regressive come quella che su MLIST ci sottopone Alessandro Ghezzer.

L’intervento si intitola “Il flagello dei comunicati stampa”e ne riporto un lungo stralcio:

“Gestisco un portale turistico che riceve, quasi quotidianamente, comunicati stampa della più disparata natura. Spesso rimango allibito nel constatare il pressapochismo, la sciatteria, se non l’incapacità, di chi manda comunicati. I problemi riguardano forma e sostanza. Forma: c’è chi ti manda il comunicato in allegato word o pdf, e già questo fa incazzare. Alcuni non mettono neppure l’oggetto nella mail (!), confidando che chi riceve queste mail moleste apra gli allegati alla cieca. Altri ficcano tutti gli indirizzi nel “cc”, così si vedono tutti gli altri destinatari, magari centinaia. Questo tipo di messaggi, per quel che mi riguarda, finiscono direttamente nel cestino. A volte nella mail ci sono allegati di vari mega (brochere aziendali o depliant in pdf), altre volte il solo logo aziendale (e chi se ne frega).
Non di rado arriva una spataffiata di fotografie ad altissima risoluzione, che per la pubblicazione sul web servono solo a farti imbufalire per l’intasamento della posta. Le foto, beninteso, sono sempre rigorosamente senza didascalia, di modo che non c’è verso di capire a cosa si riferiscano: magari il mittente ha la pretesa che si telefoni per chiedere che cos’è DSC_008756. Certi mandano comunicati di pagine e pagine, magari con altri 6 o 7 allegati in doc “per spiegare meglio”. Come se si avesse tempo, e voglia, di leggere pagine di documenti per capire cosa diavolo vogliono costoro.

Veniamo alla sostanza: ci sono comunicati scritti in modo sgangherato, zeppi di patetici inglesismi (mission, input, work in progress, know how, road map), frasi fatte e luoghi comuni (porre in essere, senza soluzione di continuità, immerso nel verde, natura incontaminata, benessere a 360 gradi) che di regola cestino dopo aver letto poche righe. In altri non si capisce proprio il senso: concetti vaghi, esposti alla rinfusa, a volte in contraddizione tra loro.

Mancano anche informazioni essenziali come chi, quando, dove, come e perché. L’unica cosa che si capisce chiaramente è la confusione mentale di chi ha scritto il comunicato.“

I commenti sono superflui.

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To Twit, or not to Twit ? (Social Business Amlet Blues)


Diciamocelo, solo Twitter può competere con Facebook quanto a discussioni e analisi in corso.

Da un lato chi si interessa più direttamente agli aspetti sociali e psicologici del fenomeno, da un altro chi, come gli addetti alla comunicazione, si domanda fondamentalmente se esistono reali possibilità per utilizzare in modo coerente ed efficace un mezzo del genere.

Perchè mentre, in un certo senso, Facebook offre tutto sommato varie opzioni di comunicazione e promozione (ammesso poi che vengano percorse correttamente), le caratteristiche di Twitter sono così specifiche e peculiari che il suo utilizzo nell’ambito di un piano di comunicazione apre, giustamente, alcuni interrogativi.

Credo sia corretto seguire un’approccio come quello proposto da Traci Knoppe su Genesis Blogging

Prima di tutto ricordiamoci che i vostri "follower" e coloro che decidete di seguire sono persone, non numeri. Può sembrare una osservazione banale, ma in realtà ha una serie importante di conseguenze sull’approccio a un "ambiente" come quello di Twitter.

Vi sono, semplificando, due grandi "scuole di pensiero" circa il comportamento da seguire :

1. Dovete seguire chiunque vi segua, sia attraverso meccanismi automatici, sia manualmente

2. Dovete seguire solo coloro che ritenete siano adatti e in qualche modo "congruenti" con voi, sia per un interesse comune, sia perchè vi siano stati segnalati, oppure perchè appartengono al vostro mercato di riferimento.

Se vediamo il tutto dal punto di vista di chi vorrebbe comunicare, promuovere, posizionare un brand o un prodotto, trovare clienti o conversare con i propri clienti, occorre trovare un approccio che rispetti la natura dell’ "ambiente sociale Twitter" .

E qui veniamo al "Know – Like – Trust factor"

Ovvero, seguendo il filo logico proposto da Traci:

  • Your followers need to get to know who you are. They do that by you tweeting a bit about yourself.
  • They need to get a chance to like you. They can do that when you reply to others and engage them in conversation.
  • Trust comes from the Knowing and Liking and seeing that you are willing to think of other people and not just yourself and your business.

Tina Williams ( Coaching The KLT Factor ) sottolinea acutamente:

The more light you spread the more your KLT Factor develops. As you light up others, you will see that instead of seeing your light dim, the circle of light around you just keeps getting brighter!

La ricerca, la selezione e l’apertura dei contatti è sicuramente un passo importante e complesso, e qui non mi dilungo, ma mi limito a segnalare strumenti come Twellow

Mi soffermo ancora invece sulle modalità e sui contenuti di comunicazione:

  • Tweet some personable, as well as valuable, information so your followers can get to Know you.
  • They will Like you when you interact and become social: so reply, re-tweet and interact with your followers and those you’re following.
  • Once they know and like you, and you have interacted, the Trust naturally comes.

Insomma, mi pare che la chiave sia un approccio realmente equilibrato tra interazione sociale e obbiettivi di promozione. Vorrei concludere queste brevi ( e non certo esaustive) osservazioni sottolineando che, come per il blogging, restano fondamentali l’aspetto della trasparenza e quello dell’essere comunque "persona" : " If you are tweeting as a business or corporation – you need a person, with a name, tweeting on your behalf. Personalize your Twitter presence and you will get a much more favorable response. You will build your Know-Like-Trust factor and your business will grow. Twitter is an excellent marketing tool – if used properly, the results are amazing. "

Illustrazione di James Marsh

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Letture del Lunedì (Social Media PR Blues)


Allora, oggi il menù prevede Social Media in varie salse:

Social Networking More Popular Than Email (Mashable)

HOW TO: Measure Online Influence (Mashable)

6 Social Media “No-Brainers” You Shouldn’t Forget
(CapeCodSEO)

Buona lettura e buona settimana.

 

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Social Media e business (Twitter Blues)

Vi segnalo questo interessante post di Sarah Milstein su un tema molto poco dibattuto ma in realtà molto sentito dalle aziende che si affacciano sui social media. Qui il post.

Ve ne anticipo uno stralcio: 

Back in December, Dell reported that offers from its Dell Outlet Twitter account had led to more than $1 million in revenue. A small percentage for a company that books $16B in revenue annually–but a nice number nonetheless, particularly in a dreary economy.

Question is: are they the only ones?

I haven’t yet found anyone else claiming to have micromessaged their way to a number with six zeroes. But I did have an interesting conversation recently with a company that used Twitter to drive a 20 percent increase in sales in December, and additional growth in February. Here’s the story. (…)

Via Digital Engage on Twitter

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Sono un blogger degenere (Bad Father Blues)


Tutto preso dal cambiamento di format, mi sono scordato (cose da pazzi) del compleanno della mia creatura, che il 18 Febbraio ha compiuto 4 anni ….

Potrà mai il mio piccolo blog perdonare il suo indegno genitore ??

Mah…

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Nobody gets fired for buying IBM (PR Price and Value Blues)

Un provocatorio e appassionato post pubblicato  in A view on PR from Silicon Valley di Tim Dyson, merita più (molto di più )di una riflessione.

Tim osserva come la vecchia espressione “nessuno è mai stato licenziato per aver scelto IBM” sembra più che mai in auge in queste settimane.

Molte grandi aziende rivedono i propri programmi di marketing e comunicazione e mettono in discussione i propri partner e fornitori .

Il problema è che spesso i criteri di selezione non sembrano essere basati su quali idee e proposte faranno la differenza per il loro business, o dove sono i consulenti più adatti e competenti per lavorare nel mercato in cui operano, per tipologia di prodotto e nello specifico Paese. I criteri sembrano invece orientati alla mera dimensione e al "prezzo apparente” 

In realtà le aziende hanno soprattutto bisogno di persone creative, competenti e attente a quello che succede nel mondo dei media vecchi e nuovi, che, come sottolinea Tim, “ love to get their hands dirty. In short they need results”

Ma i meccanismi imperanti sembrano essere diversi.

Accade che molti uffici acquisti amano i contratti globali con le grandi agenzie: vedono soprattutto i vantaggi (apparenti) della centralizzazione. Al tempo stesso, ovviamente, le grandi agenzie “vendono” l’idea di una “ottimizzazione dei costi”  e di una “miglior integrazione”

Conclude (amaramente) Tim:

”Smaller, more agile agencies are full of practitioners that love the craft of PR and will give their all to the task, not just the hours they are obliged to provide within the contract.
Small and mid-sized agencies will likely suffer during the next twelve months as some large companies run for the apparent safety blanket offered by large agencies. In time they will learn what they learned in better economic times – that they need an agency, or agencies that can really engage with their different business units and can make a real difference to their success. Sadly it seems that for now though the smaller agencies will have to sit tight and focus on smaller clients that understand the difference between price and value.”

O no…?

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La comunicazione di questi tempi (Banner Blues)

“…Banner ads have a notoriously low ROI. They are good branding vehicles but terrible for direct response and they require a significant investment to really be successful. You need to blanket the web with them. I’m inclined to believe that as marketers look for ROI in these times they will find success through search ads, public relations, email marketing and some, but not all, social networking programs.”

Questa osservazione del buon Steve Rubel mi pare ineccepibile, e particolarmente significativa di questi tempi.

Se è vero che il “famigerato” ROI è quanto mai il fattore chiave delle decisioni aziendali, qualche rilflessione su come si spendono i budget di comunicazione mi pare d’obbligo.

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Sito o corporate blog: oggi è un falso problema (A False Dilemma Blues)

Si sono versati fiumi di pixel su ruoli e rapporti tra blog e sito aziendale. Ne abbiamo parlato spesso anche da queste parti.

Recenti esperienze in agenzia mi hanno portato a fare alcune considerazioni che, a mio parere, sciolgono più di un dilemma in merito.

Fermo restando che il blog conversazionale in senso stretto resta un formidabile strumento “tattico” in funzione di particolari obbiettivi aziendali (il lancio di un prodotto o di un servizio, il dibattito su un tema particolarmente delicato per il business, etc. ) oggi per numerose aziende il dilemma “blog o sito” è di fatto ampiamente superato.

Mi spiego meglio.

L’esistenza di piattaforme di pubblicazione e gestione dei contenuti particolarmente potenti e flessibili, come ad esempio WordPress, offre di fatto la possibilità di mettere mano ad un immaginario “cursore lineare”. Agli estremi di questo cursore troviamo da una parte il blog conversazionale puro (“alla Mantellini” tanto per capirci) e all’altro estremo qualcosa che potremmo definire “sito aziendale dinamico”, dove utilizzando le modalità di pubblicazione del blog, l’azienda offre un flusso di contenuti, articoli di approfondimento e informazioni di valore per il pubblico di riferimento (tipicamente partner e clienti finali), ma contemporanemente pubblica anche informazioni strettamente tecnico-commerciali (nuovi prodotti disponibili, promozioni, eventi, listini), utilizzando quindi la presenza online per spingere in modo anche molto diretto e immediato il business dell’azienda.

La possibilità di creare anche ulteriori pagine statiche o parzialmente dinamiche, permette di coprire esigenze di tipo istituzionale, come ad esempio profilo, storia, rendere disponibili documenti di base come condizioni commerciali e finanziarie, etc.

Credo sia chiaro che di fatto si può andare da un’estremo all’altro senza soluzione di continuità, calibrando cioè le caratteristiche e la struttura in funzione degli obbiettivi e delle funzionalità prefisse.

Fatto salvo il caso in cui le esigenze siano decisamente troppo complesse per questo tipo di gestione, come la necessità di fornire anche l’assistenza online, gestire moduli di e-commerce molto complessi e così via, questa modalità di pubblicazione costituisce per molte aziende un formidabile strumento di comunicazione e di business, accessibile tra l’altro a costi davvero contenuti.

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Scava scava, trovi l’azienda (Digging in the Company Blues)


Come dicevo poco tempo fa ad un amico su Facebook, capita all’agenzia di PR di trovarsi ad avere a che fare con aziende che sembrano affette da una strana e pericolosa "timidezza".

Mentre da un lato ci sono clienti che vi riversano addosso una quantità inconcepibile di informazioni irrilevanti e inutili, tra le quali bisogna scavare per trovare un contenuto degno di questo nome, all’estremo opposto ci sono aziende che sembrano inconsapevoli dell’ enorme valore delle competenze e dei contenuti di cui dispongono e, a parte poche notiziole di servizio, non passano all’agenzia quanto dovrebbero.

Occorre un’attività investigativa degna di Sherlock Holmes, qualche giorno dedicato a incontri col maggior numero possibile di manager e poi si fanno scoperte a volte sensazionali: dalla tecnologia praticamente unica nel mercato, alla case history sensazionale (".. ah sì, poi in effetti abbiamo venduto anche qualcosa a Fiat, mi pare…") e via dicendo.

Insomma, ritengo che quando si affronta un nuovo cliente occorra armarsi di pazienza e dedicarsi con impegno ad uno "zero based profiling": spesso si tratta di una attività premiante, che porta a risultati del tutto inaspettati, con enormi vantaggi per l’azienda e per l’agenzia.

A margine di queste osservazioni mi piace ricordare il caso limite di una azienda che era così poco consapevole del proprio potenziale in termini di comunicazione, che pagava una (encomiabile) agenzia di PR per farsi spiegare che siccome i loro contenuti erano un po’ difficili per il mercato, non ci si poteva aspettare un granchè come risultati… (era un’azienda che proponeva una delle prime soluzioni di virtualizzazione quando ancora non ne parlava quasi nessuno…)

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Auguri….

Per un Natale sereno e un 2009 molto migliore di come ve lo immaginate….

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