Chiodi, martello… manca nulla ? (Social Media Strategy Blues)

“The problem with most companies is they have implemented a tools-based strategy, and as everyone knows, say it with me class, “That is not a strategy at all!”

Steve Farnsworth ci invità così a riflettere sull’effettivo significato di certe “cosiddette” social media strategy, che strategie in realtà non sono affatto. 

Avete la vostra luccicante pagina Facebook, quella Linkedin,  Twitter, e voilà siete nel marketing 2.0.   O no….?

ID-10014679Avete assi, chiodi e martello, ma il vostro progetto ?

Lo scopo ultimo di un’attività di relazioni pubbliche (social e non) è quello di avere un impatto positivo sulle percezioni che clienti e stakeholder hanno circa la mia azienda, i miei prodotti, di attivare dei processi virtuosi che hanno come fine ultimo (non dimentichiamolo)  risultati di business.

Se non ho chiarito quali sono i messaggi, attraverso quali contenuti trasmetterli, come attivare le conversazioni coi miei pubblici, non ho in realtà alcuna strategia.

Sottolinea il buon Steve:

“Fundamentally, marketing has always been about conversations between the maker and buyers of goods or services. In the past it was always one-to-many, like broadcast advertising. However, given the role of the Internet in our everyday communications we now have a many-to-many or omni-directional conversation, with consumers talking and sharing with others on a massive scale.”

Sviluppare una attività di comunicazione sui social media con la convinzione di  vivere ancora in un mondo in cui si ha il controllo del messaggio e del mezzo non porta evidentemente da nessuna parte.

Creare una vera strategia significa insomma domandarsi dove è la mia audience e in quali contesti  i clienti parlano della mia azienda e dei miei prodotti.

Occorre capire come, perché e dove si parla del mio brand, identificare cosa è rilevante, e poi, di conseguenza,  costruire e diffondere i contenuti che supportano i miei obbiettivi di business .

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Content marketing (again)

Uno splendido post di Steve Farnsworth

22 Ways to Create Compelling Content [Infographic] And Content Marketing Case Study

blog-22-content-ideas

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Guarda questo ! (Mobile Marketing Blues)

Non credo ci sia bisogno di sottolineare la necessità per i marketer, soprattutto del mondo B2C (ma non solo), di seguire con attenzione le dinamiche della comunicazione mobile.

video-smartphoneUna recente ricerca di On Device ci permette di analizzare uno specifico aspetto molto interessante, ovvero quello della condivisione dei video fruiti su smartphone.

Le percentuali di sharing dei video sono davvero impressionanti (92%) e mostrano (ce ne fosse bisogno) il predominio di Facebook come strumento di condivisione.

Va da se’ che questo straordinario meccanismo si attiva se (e solo se) i contenuti del video sono adeguati, congruenti con chi li riceve e col momento di fruizione:

“When asked about their feelings towards mobile video advertising, respondents provided informative insights:

* 53 percent said that they are positive of neutrally receptive towards mobile video advertising
*Nearly half (48%) said that they would prefer seeing video ads that are related to the content of the video clips being watched
*A significant number (44%) recalled seeing an ad while watching mobile video, with short 10-15 second spots being the most recalled format.”

 

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L’importanza di chiamarsi Spokesperson (Ma anche Ernesto va bene)

spokesperson

“Guardi, che rimanga fra noi: ma il signor Xylion , il direttore dello sviluppo del nostro concorrente Zyzz, non ha nemmeno la metà delle competenze di un nostro venditore…e poi i loro software non funzionano mi creda ! Noi abbiamo già installato il nostro prodotto presso Ford, Fiat, BMW, Coca Cola, Bayer,  Unilever e la NASA lo sta valutando.”

Il precedente esempio di colloquio tra manager dell’azienda cliente e un giornalista rappresenta uno dei peggiori incubi di ogni consulente di PR. Certo forse ho un po’ esagerato (ma in passato ho avuto qualche esperienza simile…). Sta di fatto che  si tratta di un tema molto rilevante.  Ma andiamo con ordine.

Tra i vari elementi che concorrono a realizzare un’attività di media relations efficace, la spokesperson, ovvero il portavoce aziendale, colui che viene proposto come interlocutore ai giornalisti per le interviste (e spesso è anche colui che va a  rappresentare l’azienda a convegni e seminari), costituisce una risorsa di capitale importanza, e le sue performance possono influenzare notevolmente i risultati dell’attività di comunicazione nel suo insieme.

All’inizio del rapporto tra un’azienda e l’agenzia di PR, occorre identificare subito l’interessato e valutare con attenzione le sue caratteristiche personali e professionali in funzione del suo ruolo come comunicatore dell’azienda. E’ un momento molto delicato, dato che spesso la persona proposta dall’azienda lo è in funzione del suo ruolo aziendale (è il proprietario, il fondatore, l’amministratore delegato, il direttore marketing… ) e non è affatto detto che sia pronta per essere “impiegato” nelle attività.  interview

Occorre chiarire alle aziende che il fatto di non essere preparati a svolgere questo ruolo non è una vergogna o un reato: si tratta di una attività per cui è necessario disporre di una preparazione specifica. Non si tratta solo di avere o meno “facilità di parola” : si tratta di acquisire di una serie di competenze e nozioni, sia di tipo comportamentale che legato alla natura e alle caratteristiche dei media e dei giornalisti. Un approccio corretto a un’intervista può significare l’apertura di una relazione estremamente proficua e significativa per la comunicazione aziendale; allo stesso modo un approccio errato può precludere in futuro l’accesso a quella determinata testata, o abbassare comunque in modo significativo la qualità dei risultati ottenuti.  

Ecco perché è di fondamentale importanza avere chiaro come si affronta un’intervista, quali sono gli obbiettivi, quali gli atteggiamenti più produttivi, quali gli errori da evitare, e così via.

Ed ecco perché un media training è un’attività da inserire sempre e comunque in un piano di comunicazione. E le aziende devono essere consapevoli che si tratta di tempo e  denaro molto ben impiegato.

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Content Marketing: questo sconosciuto (Content Marketing is not an option)

Il content marketing. Cos’è e perché chi si occupa di comunicazione aziendale deve conoscerlo e integrarlo nella propria attività di marketing in senso lato (oggi più che mai) ?

Joe Pulizzi ha offerto una definizione sintetica del content marketing che trovo molto efficace:

“Content Marketing is owning, as opposed to renting media. It’s a marketing process to attract and retain customers by consistently creating and curating content in order to change or enhance a consumer behavior.”

In sostanza, invece di una mera proposizione di prodotti o servizi, l’azienda distribuisce informazioni che rendono più edotto e “intelligente” il potenziale compratore. Il principi0 su cui si regge questa strategia è la convinzione che una azienda offre con continuità informazioni consistenti, utili, quindi di valore, ai suoi clienti, potenziali e esistenti, questo avrà un ritorno concreto in termini di business e di fedeltà.

L’azienda che mette a disposizione e quindi dimostra al suo pubblico la propria competenza nel settore in cui opera attraverso white paper, articoli, documenti, seminari , etc compie un’operazione che arricchisce i clienti e, sottolineo, quando compiuta attraverso media di terzi, arricchisce (e quindi offre un servizio a valore aggiunto) anche i media stessi che ne traggono un sicuro vantaggio competitivo.  

Va chiarito che il content marketing non è un mezzo ma una strategia: non è una “alternativa” e non si sovrappone ad attività di direct marketing o di social marketing:  la distribuzione dei contenuti (che sono i veri protagonisti della strategia) viene promossa attraverso la presenza dell’azienda nei social media (da Twitter a Facebbok a Google+ ) rimandando attraverso link ai contenuti, che possono essere reperibili su altri media o tipicamente sul sito e/o blog aziendali.

I social media svolgono ovviamente altri compiti. In primo luogo vengono usati per lo sviluppo della brand awareness, generando discussioni sul brand; in secondo luogo costituiscono un luogo di contatto e confronto diretto con i clienti, un “open forum”.

Ovviamente la creazione di contenuti di qualità costituisce un impegno rilevante per il management aziendale e per l’agenzia di comunicazione che deve raccoglierli, elaborarli  e poi declinarli in modo efficace nelle varie forme.

Quel che è certo è che, oggi più che mai, nessuna azienda (e forse ancora di più nel mondo del B2B)  può esimersi dall’attuare con convinzione una strategia di content marketing, dedicandole tutte le necessarie risorse.

Una risorsa di base per approcciare il content marketing: http://contentmarketinginstitute.com/

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Il social marketing e le sue deviazioni. (Social Traps Blues)

La petizione chi mi ha raggiunto stamattina attraverso Facebook (relativa a Tripadvisor) ripropone per l’ennesima volta l’annosa questione: ma tutto questo meraviglioso 2.0, questa  splendida condivisione dell’informazione dal basso, che dovrebbe premiare le aziende meritevoli attraverso l’accreditamento fornito dai suoi clienti, e quindi realmente autorevole e credibile, esiste davvero ?

Un po’ troppo spesso abbiamo letto di utenti fake, di commenti artificiosi, di profili feacebook e twitter creati ad arte, di commenti manovrati o cancellati, di inviti che ti vogliono strappare un “mi piace” su Facebook senza che tu veda nemmeno di cosa si tratta,  etc. etc .

Quante sono le aziende che di fronte a queste nuove opportunità rispondono con un “finalmente !” e quante con “vediamo, tecnicamente,  come posso fregarli ?”

E il ruolo dei “web consultant” e delle “web agency” ? Le aziende sono anche vittime di false competenze e guru più o meno improvvisati ?

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Tanto rumore, ma non era per “nulla” (Bot Blues)

Credo che le considerazioni di Dotcoma sulla inesauribile polemica Marco Camisani Calzolari – Grillo siano interessanti e, sotto un certo punto di vista, conclusive.

Personalmente aggiungerei che:

1. La ricerca di  MCC appare, alla luce di analisi un po’ più oggettive e indipendenti,   un filino pretestuosa, e l’obbiettivo sembra essere stato semplicemente quello di danneggiare  l’immagine di Grillo e del suo Movimento. Mi permetto di osservare che se c’era qualcuno che non doveva presentarla al pubblico, dati gli arcinoti trascorsi di consulente del Cavaliere, era proprio il buon Marco. Al di là di qualsiasi altra considerazione già il fatto che abbia lanciato lui il sasso nello stagno ( e che sasso e che stagno) sospetti ne ha creati sin dal primo istante. Ma questo forse è secondario.

camisani-calzolari-berlusconi

2. La stampa, online come offline, ci si è ovviamente buttata sopra a corpo morto, e qui è difficile valutare se i giornalisti che ne hanno ampiamente scritto in modo piuttosto acritico (Corriere e Repubblica inclusi) semplicemente non avessero gli strumenti per valutare la ricerca o abbiano evitato di farlo perché comunque era interessante scatenare la polemica e riempirci parecchie pagine.

Detto questo, la polemica mi ha francamente intristito,  nella sostanza e nella forma, per non parlare dei soliti idioti che ne hanno approfittato per dar sfogo a insulti gratuiti, minacce ecc. ecc.

Quello che rimane come considerazione generale è che chi scrive di questi temi, forse più sulla carta stampata che online, sembra comunque essere poco preparato sui temi specifici, che sono sì complessi e richiedono costante aggiornamento, ma se uno decide di scriverne…

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Influence is not awareness. (The Great Influencer Blues)

Vi consiglio la lettura (davvero interessante) di questo articolo di Jure Klepic  sull’Huffington Post.

Il tema sono le cosiddette “misure” della capacità di influenzare opinioni e comportamenti online :

“…Do Klout, Kred, or PeerIndex measure the ability to change behavior? Quite simply, they do not. Instead of calling it what it is, brand awareness, they use the word “influence” in metrics and results that have nothing to do with the real meaning of influence. Some variables they use in their scoring system include Unique Retweets, Total Retweets, Mutual Follows, Number of Followers, Number of Friends, Unique Likers, Unique Commenters, and Likes Per Post, but none of these indicate how we are changing behavior in others….”

EPSON scanner image

Immagine: http://tomfishburne.com/

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Consigli per i Community Manager (Keep Calm Blues)

KEEPCALM

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The Song Remains the Same (To be 2.0 or not to be 2.0 Blues)

Pare che in questo periodo non si possa evitare di parlare di utilizzi non esattamente “best of breed” dei social network da parte dei solerti marketer 2.0.

Vi invito semplicemente a leggere questa storia, ancora una volta esemplificativa di come le aziende pretendano di immergersi nel mare dell’interattività in tempo reale con i propri clienti, (very 2.0) salvo pretendere di restare belli asciutti al primo schizzo fuori posto. (very 0.5)

Posso dire che allora è davvero meglio starne fuori ?

Ditemi voi…

RTL102.5 e crisis management: una case history negativa

(da Webinfermento)

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